domenica 18 novembre 2012

Inizio

Ritornerai da me
e ricominceremo
come se fra noi non fosse
finita mai.

Ritornerai da me
con una rosa in mano
e sarà come se non fossi stato
lontano mai.

Lacrime riflesse

Se sono giorni che non parlo,
abbasso gli occhi e non ti guardo,
dovresti chiederti il perché.

Se sono mesi che non rido
e che non cerco il tuo sorriso
e se di questo non ne soffri,
dovresti chiederti il perché.

Vedi riflesso nel mio sguardo
il tempo lungo dei silenzi.
Mi manca quello che eravamo.
Soprattutto, però, mi manca quello che avevamo
sognato
e invece non è stato.

Mi mancherà per sempre.

sabato 17 novembre 2012

Il mondo è tondo

Guardo il mio riflesso nello specchio
e il tuo sorriso
dai miei occhi è andato via.
Ritornerà,
se tornerai da me.
Ma so che non lo farai più.

Troppo lontani per guardarci ancora.
Troppo lontani per sfiorarci ormai.
E ti allontani ancora.

Se mai provassi ad allontanarmi anch'io,
forse un giorno mi ritroverei con te.
Il mondo
in fondo
è tondo.

lunedì 29 ottobre 2012

Il tempo di un attimo

Non era facile starsene lì a guardare senza fare nulla. Non è mai facile non poter agire. Forse è la cosa più difficile del mondo. Perché, quando puoi fare qualcosa, magari sbagli, è vero, ma almeno ci hai provato. Ed è questo che ti puoi raccontare: che ci hai provato. Quando, invece, non puoi fare nulla, allora sì che le cose si complicano. E rimani a marcire con te stesso. Puoi solo aspettare. Niente azione. Solo attesa. E l'attesa uccide chiunque.
Era difficile starsene lì a guardare senza fare nulla. Era difficile non poter agire. Aspettare un cambiamento ma non poterlo provocare. Eppure qualcosa si può sempre fare. Era questo che suo padre gli aveva sempre ripetuto, fino alla morte. Suo padre, però, non era un bell'esempio. Suo padre era morto suicida. Bèh, non si poteva certo dire di lui che fosse rimasto fermo a guardare senza fare nulla. Lui una cosa l'aveva fatta eccome. Aveva deciso di porre fine alla sua vita. E aveva deciso lui il come e il quando. Aveva agito, dunque. In accordo con la sua idea che "qualcosa si può sempre fare", anche decidere di non fare mai più nulla. Anche decidere di togliersi per sempre la possibilità di fare tutto.
Era impossibile stare lì a guardare senza fare nulla. Era impossibile non poter agire.
Marco decise allora che avrebbe agito. Avrebbe provocato lui un cambiamento.
Angela era a pochi metri da lui, si sbaciucchiava con la sua nuova fiamma, Matteo. Entrambi erano ignari della presenza di Marco lì al parco, dietro i cespugli, a pochi metri dalla loro panchina.
Marco saltò fuori con un balzo rapidissimo. Bastarono pochi colpi decisi alla testa di lui e poi di lei, il cui ultimo sguardo mostrava solo orrore puro. Marco lasciò cadere l'asta di ferro arrugginito che aveva raccolto dietro il cespuglio, ora macchiata del sangue dei due ragazzi. Scappò via.
Suo padre, in fondo, aveva ragione: qualcosa si può sempre fare.

giovedì 2 agosto 2012

Stanotte voglio scrivere

Voglio scrivere stanotte
versi tristi
in cui specchiarmi.
Versi tristri
in cui un cielo così stellato avrebbe paura
a tuffarsi.

Voglio scrivere stanotte
versi amari
da indossare.
Versi amari
come un abito che ha perso
colore.

Voglio scrivere stanotte
versi bui,
da non vedersi neppure domani,
quando sorgerà finalmente
il Sole.

Ho creduto

Ho creduto di conoscerti,
Amore.
Poi, ho creduto di perderti.
Invece tu sei sempre rimasto là,
lontano,
a farti guardare.
Non ti sei fatto conoscere.
Grazie.
In questo modo, infatti, non ho potuto neppure perderti.
Perché non si può perdere
qualcosa che non si conosce.

mercoledì 11 luglio 2012

Tutto per lo SHOW!

Il destino di Josephine era stato grottesco fin dal giorno della sua nascita. Figlio di una trapezista e di un domatore di leoni, convinti di aspettare una bambina ("Femmina, sarà una femmina! La forma del pancione parla chiaro!"), il suo nome era stato scelto con largo anticipo: Josephine. E tale era rimasto, anche quando lui aveva smentito tutti i pronostici. E quale ruolo mai avrebbe potuto occupare, all'interno della compagnia circense, uno come lui, un maschio con un nome da femmina?
"Sarà un clown!"
E fu un clown. Faceva divertire i bambini con numeri buffi e travestimenti ancora più buffi.
Tutto per lo SHOW!
Lui li trovava grotteschi e noiosi. E poi, questa cosa che la gente andasse lì a guardarlo e a ridere di lui, non gli era mica mai piaciuta tanto. E, più passava il tempo, più la gente rideva, più in lui cresceva la malinconia. Pesante e grande. Grande come erano grandi le ridicole scarpe che indossava per gli spettacoli. Era un clown maschio con un nome da femmina, con un cuore triste ma con un sorriso dipinto sulla faccia col rossetto rosso fuoco.
Tutto per lo SHOW!
Si accorse pian piano che qualcosa andava maturando in quel suo cuore malinconico. Un progetto nuovo per quella vita grottesca. Un progetto grottesco per una vita nuova. Sì, sì. Più ci pensava, più ne era convinto. Perché no, in fondo?
Erano anche colorate quelle pillole per gli elefanti. Gli avevano sempre detto che erano vitamine. E lui per un po' ci aveva anche creduto. Ma ora non ci credeva. Non credeva più a nulla, Josephine. Quelle pillole lucide e belle, che sembravano tante caramelle...pillole blu, verdi, gialle...pillole viola, rosa, rosse...pillole per tutti i gusti! Per convincere gli elefanti a stare buoni, a fare il loro spettacolo, a non abbandonare il circo, a resistere ancora un po'.
Tutto per lo SHOW!
Quella sera il circo era pieno di bambini. Sottile soddisfazione per Josephine. Avrebbe fatto solo metà del numero. Metà esatta. Non un secondo di più. Non un secondo di meno. Un biglietto per mezzo spettacolo.
Tutto per lo SHOW!
Mezzo spettacolo. Soltanto mezzo spettacolo. Sottile soddisfazione per Josephine.
Tutti ridono. Lui si spruzza un getto d'acqua in faccia. Tutti ridono. La metà dello spettacolo è arrivata. L'acqua sul viso ancora non si è asciugata.
Vede i denti della gente, Josephine.
Tutti ridono!
Ridono!!
RIDONO!!!
E allora Josephine beve. Una pillola blu, una rossa, una rosa, una viola, una gialla, una verde, una blu, una rossa, una rosa, una viola, una gialla, una verde, una blu, una rossa, una rosa, una viola, una gialla...
Glu, glu, glu...
Giù, giù, gù...
Tutto per lo SHOW!
Fino alla fine. Grottesca, come il suo nome da donna sul corpo di un uomo, come il suo sorriso rosso su un viso che piange. Grottesca la sua fine. Come il suo destino.

IL PUNTO DI VISTA- Diceva Achille Bizzoni...

Guardate un po' cosa scriveva nel 1868 Achille Bizzoni, autore scapigliato, in un articolo del "Gazzettino Rosa"...
Vogliamo che si sappia chi comanda; e vogliamo che questi sieno responsabili delle loro azioni: vogliamo che i ladri non vadano al Parlamento; vogliamo che i manutengoli di donne non divengano cavalieri; vogliamo che le cortigiane, amiche di ministri e di grandi personaggi, non possano disporre con un bacio lascivo dei destini dello Stato. Vogliamo insomma che il bordello cessi; e ritorni l'Italia; e se non vi fu mai, si crei.
Non trovate che sia ancora tristemente attuale?

giovedì 5 luglio 2012

Titoli e basta

Quando gli chiedevano che cosa facesse nella vita, Alfredo rispondeva sempre che lui era uno scrittore.
E ci credeva fermamente. E quando, allora, gli chiedevano che cosa avesse scritto, lui citava alcuni titoli che risultavano sconosciuti a tutti. E, il più delle volte, il discorso moriva lì, perché in realtà a nessuno importava davvero che Alfredo fosse uno scrittore. Eppure lui lo era. Pensava addirittura di avere il nome da scrittore. Cosa volesse dire questo, poi, esattamente, non lo sapeva neppure lui. Però pensava che Alfredo fosse un nome adatto. Tutto qui. E poi lui amava scrivere. Adorava proprio il gesto in sé, che caricava di profonda emozione ogni volta. Prendere una penna, con la punta morbida, sottile, in modo che le lettere potessero risultare belle a vedersi, le parole ordinate, le frasi sistemate in bella grafia, disposte sul foglio ordinatamente. Amava scegliere con cura il colore dell'inchiostro. Non sempre nero. Non sempre blu. A volte verde, o rosso. Ogni tanto anche viola, perché no. E poi amava la carta, i fogli sempre diversi per dimensione, grana, colore. Ma sempre a righe. Sempre.
Iniziava dal titolo. E' così che fa uno scrittore. Si comincia sempre dall'inizio. E quindi lui iniziava dal titolo.
Ne aveva tanti di titoli nella sua libreria personale.
  • Non ho nulla da dichiarare.
  • Sto aspettando il tuo ritorno.
  • Ancora nulla da dichiarare.
  • Continuo a scrivere.
  • Penna e calamaio.
  • Foglie d'autunno rigate d'inchiostro.
E così via altri sette o otto. Soltanto che erano solo titoli. Sì, esatto, proprio così. Titoli e basta. Con nulla dentro. Titoli vuoti. E Alfredo non si limitava certo a questo. No, lui era proprio uno scrittore. E uno scrittore il suo libro lo crea.
E allora Alfredo lo creava quel libro. Uno per ogni titolo. Sceglieva il formato, la carta, la copertina, le dimensioni. Tutto, fin nel dettaglio. E costruiva il volume a mano, con una perizia inimmaginabile. Tagliava i fogli tutti uguali, li allineava, li rilegava, li metteva in posa.
"Questo sarà una brossura, questo avrà una copertina cartonata, bella lucida, questo sarà un tascabile..." e così via. E poi, una volta terminato questo lavoro, il libro finiva nello scaffale. Con le sue belle pagine bianche. E con il titolo, naturalmente.
Un giorno, forse, li avrebbe riempiti.
Era uno scrittore lui.

martedì 3 luglio 2012

Cola e Cancan

Non aveva mai pensato di essere una persona semplice. Fin da quando si era posto delle domande su se stesso -non ricordava esattamente quando, ma di sicuro doveva aver iniziato molto presto-, non aveva mai pensato di essere una persona semplice. Avere a che fare con se stesso era sempre stato ingombrante, come convivere con troppe persone in uno spazio infinitamente ristretto per contenerle tutte senza lesinare loro lo spazio vitale.
Decisamente non era una persona semplice. E se lo ripeteva spesso. Spessissimo. Non gli faceva paura questa cosa di sé. Non è mica un male non essere una persona semplice.
"Certo è che, se fossi una persona semplice, probabilmente tutto sarebbe più semplice" si disse, e rise. Non era in sé quella sera. Per questo si ripeteva ancora più spesso del solito lo stesso concetto. E mica si dava noia. Anzi. Gli serviva per schiarirsi le idee. Per chiarire il concetto. Magari, un giorno, gli sarebbe tornato utile avercelo ben chiaro in testa. Chissà, per spiegarlo ad un estraneo. Chissà.
Non era in sé quella sera.
Eppure non aveva bevuto nulla. Una Cola con ghiaccio. E che vuoi che sia. Eppure non era in sé. La testa che vorticava di pensieri. O meglio, i pensieri che vorticavano nella testa, ballando un Cancan dal ritmo folle.
Fece ancora due passi per l'acciottolato deserto, impregnato di quella notte estiva e umida che ricopriva ogni cosa come un lenzuolo dalla trama troppo fitta. Procedeva col naso rivolto al cielo. La conosceva bene quella stradina. Non c'erano ostacoli. Tutt'al più avrebbe potuto dare un calcio a qualche bottiglia di vetro rovesciata lungo il percorso. Guardava le stelle. A guardare le stelle, diceva sempre suo nonno, un tale era caduto in un pozzo ed era morto. Così era morto: col naso per aria. Bé, mica male come modo per morire. Guardando le stelle. Che poi, quello là, era Talete. Non aveva mai pensato che Talete fosse una persona semplice.

IO, IN UNO DEI MIEI LIBRI

"Bèh?" ringhia il mio editore, inondandomi dell’odore intenso di sigaretta.
Ora sì che vorrei essere da un’altra parte. In uno dei miei libri magari, ma certo lontano da qui. Aspettavo questo momento
da un po’. Va bene, diciamo che una parte di me non aspettava altro. Eppure adesso mi piacerebbe fuggire, mollare ogni
cosa. Sembrava tutto molto più semplice qualche settimana fa, quando riversavo su quei fogli bianchi tutto me stesso.
E intanto speravo.
Mi offre una sigaretta, col suo fare sfrontato, sicuro. Inizio a fumare; forse il fumo nasconderà le mie insicurezze.
"Hai perso la lingua? E’ da un po’ che aspetto qualche spiegazione. Me la devi credo…" incalza Giulio, accendendosi la seconda sigaretta.
Qualche spiegazione… non so da dove cominciare. Mi passo una mano fra i capelli, per prendere tempo. Lo guardo e mi sento morire. Ho scritto per settimane, quasi senza sosta. Per lui. Per noi. Basta, devo parlare. Questo non è un libro, è la mia vita.
"Pensavo che fosse tutto chiaro…" dico allora, cercando di apparire tranquillo.
"Pietro, sei fuori?"
"Credevo che avessi capito, che mi avessi compreso…" continuo io, col cuore che batte all’impazzata.
"Che avessi capito?" Giulio si stava alterando "Che avessi capito cosa, esattamente? Ti avevo chiesto una storia per bambini e tu che fai? Mi presenti un romanzetto in cui uno scrittore gay ama alla follia il suo editore? Lo sai, Pietro, mi è sempre piaciuto il tuo piglio, il tuo stile un po’ anticonvenzionale e ti ho sempre lasciato abbastanza libero. Ma ora no. Ora è troppo. Non è quello che volevo".
Mi sento morire. Ho scritto non so quante pagine, ci ho messo dentro ciò che provo in quel “romanzetto”. Erano mesi che volevo farlo. Sputare il rospo. Un rospo per il quale ormai non vivevo più, che era diventato troppo pesante. E lui non ha capito. Non ha capito nulla. Forse dovrei provare sollievo. Invece vorrei avere la forza di parlargli, di dirgli quanto lo amo. Oppure fondermi col foglio, con quel foglio che Giulio tiene fra le mani, quel foglio in cui ho riversato tutti i miei sentimenti per lui. Poi, dopo un tempo che davvero non so definire, lo sento ridere. Quante volte ho sentito quella risata. E l’ho amata.
"Pietro!" mi chiama. Sollevo la testa e lo guardo, ma non dico nulla. Sono decisamente più bravo a scrivere che a parlare.
"Pietro, su col morale! Non ti sto mandando via! Sei un talento e non ti lascerò sfuggire. Perciò ora torna a casa e scrivi quello che ti ho chiesto. Prenditi il tempo che vuoi. Ci risentiamo quando avrai finito".
"D’accordo" faccio io, di rimando.
Poi mi alzo, spengo la sigaretta nel posacenere e saluto. Mi chiudo la porta alle spalle. Non so se mai la riaprirò. E’ pericoloso fondersi col foglio.

giovedì 31 maggio 2012

Un mio lavoro all'interno della rassegna letteraria PER LE RIME

Cari lettori,
mi è stato comunicato qualche giorno fa che sono rientrata nella selezione per la rassegna letteraria PER LE RIME, organizzata dalle associazioni culturali Il Crogiuolo e La Fabbrica Illuminata.
Il 3 giugno alle ore 20.00 all'ArcoStudio in via Portoscalas 17 a Cagliari, le attrici Rita Atzeri ed Elena Pau interpreteranno i lavori degli autori selezionati, fra i quali sono compresa anche io.
L'ingresso è ad offerta libera.
Con la curiosità e l'emozione per questa esperienza del tutto nuova, vi saluto! Alla prossima!

lunedì 21 maggio 2012

Sotto Scacco-Se sei curioso...(primi due capitoli gratuiti!)

Buongiorno, lettori! Troverete qui sotto un file scaricabile gratuitamente dei primi due capitoli di Sotto Scacco.

http://goo.gl/Cy4pG

Vi ricordo che Sotto Scacco è acquistabile nei seguenti punti:
Per gli amici di Cagliari:
-Libreria La Stazione (via Roma)
-Libreria Byblos (via Oristano)
-Libreria Cocco (via Dante)
-Libreria Murru (via San Benedetto)
-Libreria Ubik (via Roma)
-Libreria CLU (viale Fra Ignazio)
-Libreria Fozzi (via Aeroporto Elmas)
Per gli amici fuori Cagliari e fuori Sardegna:
-In tutte le librerie ediQ Distribuzione
-In tutte le librerie Cav. Giovanni Russano (per la Lombardia)
-In tutte le librerie CLU

IMPORTANTE: il testo sarà disponibile nelle principali librerie on-line (IBS ecc.) e sul sito dell'editore (www.lariflessione.net). Inoltre, sarà possibile, qualora non ci fosse già, ordinarlo in qualsiasi libreria.

martedì 15 maggio 2012

Di notte, in un bar.


Quella notte faceva caldo. Non c’era un’anima per le strade di quella traversa, una viuzza come tante, di una città come tante.
Seduto al tavolino di un bar –un bar come tanti-, avevo finito ormai da un po’ l’ultimo sorso del mio Martini. Osservavo il ghiaccio sciogliersi sul fondo del bicchiere.
Forse avrei dovuto infilare la mano nella tasca dei pantaloni, tirare fuori gli spicci, pagare il conto e andare via. Eppure, continuavo a starmene lì, seduto al tavolino di un bar qualunque in una città qualunque.
Aspettavo. Mi guardavo intorno e aspettavo.
Un rumore distolse da quell’indefinito nulla la mia attenzione.
Dei passi, incerti, rimbombavano nella notte estiva. Vicini. Sempre più vicini. Vidi una sagoma che incedeva incerta verso di me. Un uomo anziano, ma non troppo. Lo vidi e lui vide me. Non ci voleva un grande intuito a capire che era ubriaco. Non so perché, ma catalizzai subito la sua attenzione. Si avvicinò a me, barcollando, e con una voce stonata biascicò:
“Attendi.
E, mentre attendi, capisci che quell’attesa ha cambiato ciò che volevi.
Già.
Ma… cosa volevi? Qualcosa.
Qualcosa, senz’altro, qualcosa…” c’era un che di teatrale in lui. Continuò, sollevando il tono di voce: “Sai dirmi che cosa? Hai perso tempo, ragazzo! hai perso tempo ad aspettare quel qualcosa che non è arrivato e che hai pure dimenticato.”
“Ehi, ma che vuoi?” faccio io. Punto sul vivo? Chissà…
“Non aspettare. Non aspettare mai nulla. Probabilmente non arriverà. Probabilmente non ti servirà”.
Parole di un vecchio ubriaco. Eppure, pagai il conto e tornai a casa.

lunedì 14 maggio 2012

A COLPO D'OCCHIO- L'equazione della vita

Ossimorico fin dal titolo, L'equazione della vita di Efisio Mura è un libro che non ti aspetti. Il titolo farebbe pensare ad una storia compiuta, che ha sì delle variabili, ma che ha comunque una soluzione che la renda vera. Questo, almeno, è ciò che comunica la parola "equazione" ad un non-addetto-ai-lavori.
Così invece non è. Perché l'equazione della vita forse non esiste per l'autore di questo libro, che conduce il lettore a seguire il flusso di pensieri di due personaggi -un uomo e una donna- che hanno dentro se stessi un mare di sentimenti. Sentimenti che li travolgono, in cui si illudono di mettere un po' d'ordine, sentimenti che cercano di catalogare, di dominare, ma che, inevitabilmente, li sovrastano.
E forse, all'inizio, quella scena di un amore finito ci trae in inganno. I due protagonisti sono anche i protagonisti di quella storia d'amore che non ha un seguito? Oppure non sono loro?
Ce lo chiediamo per tutta la durata del libro, salvo poi capire che non ci importa davvero saperlo. Abbiamo seguito, pagina dopo pagina, personaggi che ci parlano della Vita, così come è per tutti, della Vita come termine generale, come esperienza privata e universale al tempo stesso.
E ci è piaciuto questo vaneggio colossale, questo dialogo interiore senza fine. A volte ci siamo ritrovati, a volte ci siamo sentiti vicini ai personaggi, o distanti da loro anni luce.
I due protagonisti sono diversi fra loro -lui con quel bicchiere mezzo pieno mezzo vuoto, lei con quel vivere la vita senza filtro-, seguono percorsi diversi, indossano maschere diverse.
Eppure, a tratti, alcuni dei loro ragionamenti si avvicinano e coincidono, quasi come se il protagonista fosse improvvisamente diventato uno soltanto.
Abbiamo cercato di far quadrare quest'equazione per circa centocinquanta pagine, fino a che ci siamo resi conto, arrivati all'ultima, che una soluzione non ci può essere. Non esiste. O forse ne esistono molte, chissà, magari anche infinite.
Ed ecco che immagino l'autore guardarci divertito mentre chiudiamo il suo libro. Credevamo davvero che la vita fosse un'equazione matematica? Lui, di certo, no.

martedì 17 aprile 2012

A COLPO D'OCCHIO- Titanic

A COLPO D'OCCHIO è una rubrica dedicata ai film che vedo e ai libri che leggo. Il primo intervento di questa rubrica lo dedico ad una storia che tutti conoscete: quella del Titanic.
L'altra sera sono andata al cinema a vedere Titanic in 3D. La prima volta che ho visto questo film avevo otto anni. E mi aveva commossa. Forse anche un po' impressionata. Oggi, a distanza di tanti anni, ancora le stesse emozioni, le stesse lacrime. Stupiscono gli attori, per l'interpretazione estremamente intensa e realistica. Stupiscono sempre i personaggi, per la loro introspezione psicologica. Stupisce il modo in cui emerge con una forza dirompente la disperazione dell'uomo davanti alla morte. La paura della morte porta a galla la nostra parte più animalesca. In tutti i sensi. Stupisce e commuove la storia d'amore fra Jack e Rose, per i quali qualsiasi parola spesa qui sarebbe riduttiva. Infine, la colonna sonora, che travolge e trasporta dentro la storia, proprio lì, sulla nave dei sogni.
L'effetto 3D? Molto bello e coinvolgente all'inizio, si perde notevolmente sul finale, quando avrebbe potuto dare il meglio. Peccato. 

sabato 7 aprile 2012

Le vostre facce

Le vostre facce
prima
mi erano familiari.
Le vostre facce
ora
fanno quasi ridere.
Di quella risata beffarda, che potrebbe farvi male, se vi sferzasse.
Le vostre facce
hanno una maschera di gesso
un sorriso finto
finto in ogni foto
di quelle mille foto che vi fate in ogni stupida occasione. Un Sorriso finto come finti sono i vostri sentimenti e le vostre vite,
vite di cose
di cose che possedete.
Le vostre facce non sono,
hanno.
Hanno:
sorrisi studiati ad arte per vendere il meglio che credete di avere.
Buffo.
Perché il meglio che credete di avere è in realtà proprio il peggio che vi caratterizza.
Le vostre facce hanno il marchio del vostro assoggettarvi a quello che vi piace dire di fare, di essere, di pensare. A quello che vi piace ostentare.
Facce serve di tutto quello che non riuscite a dominare, di tutto quello che vi comanda.
Facce fiere di avere tutto quello che non avreste mai il coraggio di dire che vi manca.
Fiere di avere una laurea in tasca -e che sia col massimo dei voti, per favore, altrimenti che pezzo di carta sarebbe?-
Fiere di avere una vita piena, una casa, una macchina, una famiglia, dei figli, dei viaggi da sbandierare in faccia ad altre facce come le vostre, duemila amici -veri o fittizi, poi, poco importa-
Fiere dei soldi che possedete -che siano tanti, grazie. Non vivete con i soldi, ma per i soldi.
Fiere di avere un cellulare che vi tenga sempre in contatto col mondo, anche quando cagate. La nuova appendice dell'organismo umano. Segue le vostre facce come la coda del cane segue il cane.
Facce fiere di avere le giornate piene come uova, fiere di non avere tempo per nessuno, neanche per voi stesse. Forse è un bene questo. Se vi rimanesse un po' di tempo da dedicare alle vostre facce, vi accorgereste di quanto fanno schifo.
E invece, no. Non c'è tempo da perdere!
Bisogna andare di là e fare una foto-ricordo!
Ora correre di qua e un'altra foto-ricordo!
Ma per ricordare cosa? Il momento che non avete vissuto perché troppo impegnati a fotografarlo? A mostrare al mondo le vostre facce?
Le vostre facce colorano il mondo di grigio.
Colorano le vostre vite di grigio.
Le vostre speranze, strozzate, di grigio.
I sogni...no, quelli non ci sono più.
Non c'è spazio per loro, nelle vostre facce di gesso.

venerdì 6 aprile 2012

Sensazione...

...di aver sbagliato tutto.
Binari che deragliano
sotto treni
che continuano dritti la loro corsa.

Senza titolo

Ingannavo il tempo così.
Respiravo il vuoto,
sognavo una stella. 

giovedì 5 aprile 2012

Le cose-il distacco

Il distacco dalle cose serve a capirle meglio.
Mentre ci vivi dentro, in realtà non le puoi analizzare davvero, semplicemente perché le stai vivendo. Se le vuoi capire, però, te ne devi necessariamente distaccare. E vedrai subito che hanno un altro sapore.
Le osservi dall'alto. È una buona prospettiva quella. Perché le vedi lontane da te, in relazione al Tutto, e allora ne scorgi anche la vera dimensione. 
Scoprirai così che ci sono cose per cui hai pianto, che non valevano neanche mezza lacrima. Alcune di quelle cose, viste da lontano, ora ti fanno quasi ridere oppure ti lasciano indifferente.  Altre cose, per cui ti sei impegnato tanto, magari sarebbero andate per i propri binari, indipendentemente da te.
Altre ancora, adesso che sono lontane, acquistano un peso maggiore, che mentre le vivevi non avevano. E le vorresti rivivere, le vorresti aver legate a te più strette. Invece le hai lasciate andare. Ma potevi capirlo solo dopo, guardandole dall'alto. Con il distacco.
Infine ci sono quelle cose che, anche viste dall'alto, mantengono il posto che avevano quando le vivevi. Mantengono lo stesso sapore, la stessa dimensione. Magari quelle sono le cose da cui non riuscirai mai a staccarti davvero. Ti rimangono incollate addosso, non puoi fare a meno di viverle. Ti illudi di riuscire ad analizzarle da lontano, ma loro non ti mollano proprio. Con loro dovrai convivere sempre. Nel bene e nel male. 

mercoledì 4 aprile 2012

Ciao, FB!

La libertà di liberarsi da Facebook.
Decisione presa qualche giorno fa e portata a termine oggi. Bella sensazione uscire da un social-network che, a lungo andare, distorce la realtà effettiva e ti catapulta in una fittizia, dove SOLO QUEL CHE APPARE È VERO. Facebook: il mondo dove tutti pensano di sapere tutto di tutti solo guardando i profili personali (che di personale hanno ben poco), dove sperano di far credere agli altri che la propria vita sia così come loro la sbattono in faccia al mondo virtuale. Insomma, questa vetrina del fittizio e dell'ostentazione, a lungo andare, stanca.
Ciao, FB.

venerdì 30 marzo 2012

Orizzonte

Forse siamo rimasti al buio,
sulla metà scura della Terra.
Il Sole ha scelto un altro orizzonte
e noi non ci faremo caldo, mentre attendiamo.
Non ci riusciamo più
a brillare sotto una Luna che ghigna e ci guarda,
brillando di luce riflessa.
Riflessi, soltanto, anche noi, di un amore
che ha scelto un altro orizzonte.

Senza titolo n.2

Stanchi di noi,
Come una stella che cade senza essersi mai bruciata.
Stanchi di noi,
dei punti interrogativi alla fine di una storia che non abbiamo mai reso
Una certezza.
Stanchi di noi,
e di quei bivi senza meta,
di quelle strade percorse al buio di un cielo invernale
per il quale la primavera non è mai arrivata.

Scheda di "Sotto Scacco"

Descrizione
 
 

9788862117296 - Claudia Pintus - Sotto scacco - pag. 102 - euro 12,00

INCIPIT.
Quando arrivo, lo capisco subito. Vedo i cuscini sul pavimento blu notte, lucidissimo, come sempre. Federica ha deciso che giocheremo a scacchi. E infatti, appena mi vede sulla soglia, fa portare la scacchiera. Tutti i pezzi sono già posizionati e Federica mi attende, già comoda su un cuscino ricamato preziosamente.
 comoda su un cuscino ricamato preziosamente. Lei giocherà coi bianchi, io userò i neri. Il suo nome, italiano per via della madre, mi ha sempre affascinato.
[...] Federica è già una gran donna: basta guardarla come, scaltra,  muove i suoi pezzi, e la scacchiera si tinge di bianco.
“Scacco matto” mi dice, con gli occhi che le brillano.
TRAMA.
È possibile vivere liberamente i propri sentimenti e realizzare i propri progetti o bisogna affrancarsi dall'illusione e rassegnarsi al fatto che il proprio destino sia segnato dalle convenzioni sociali? Con ciò si trovano a dover fare i conti Aziz e Federica, due giovani egiziani che, nel difficile transito dall'infanzia all'adolescenza, si accorgeranno drammaticamente che troppo spesso il proprio cammino è segnato dalle scelte degli altri.
Impareranno che nella vita, come nel gioco degli scacchi, servono abilità, scaltrezza e un pizzico di azzardo. I due protagonisti mostreranno di possedere intuito, tenacia e la giusta sfrontatezza. Ma si accorgeranno che la libertà ha un prezzo e che, per poterne respirare il profumo, servirà una buona dose di coraggio.

copertina di Paola Giuntini

sabato 17 marzo 2012

Editing: sì o no?

Ultimamente, fra tutti gli amici che, come me, si dilettano a scrivere, il dibattito verte sull' editing.
Le posizioni sono molto diverse; c'è chi considera il lavoro di editing una violenza nei confronti dell' opera, c'è chi crede che una manipolazione di un testo sia sempre necessaria -soprattutto perché, spesso, essendo troppo legati alla loro opera, non si accorgono delle possibili imprecisioni o incoerenze e da soli non saprebbero modificare neppure una virgola-, e c'è chi, invece, opta per una via di mezzo: editing sì, ma solo lo stretto indispensabile.
In genere, ad affidare un manoscritto ad un editor, sono le grandi case editrici, poiché possono permettersi questa figura professionale. Sono tanti i casi di autori autopubblicati e poi finiti nelle mani di grandi editori che, dopo le opportune modifiche, hanno reso quell'opera un prodotto commerciale da un milione di copie.
Ma non sempre va così. Alcune volte, non applicare al testo modifiche sostanziali, è anche una scelta dell'editore. Una scelta che molti scrittori aprrezzano, felici che il prodotto pubblicato sarà frutto del loro ingegno, non di quello di un editor.
Potete dire la vostra, se vi va.

mercoledì 29 febbraio 2012

Siamo tutti Rossella Urru

Questo post è interamente dedicato a Rossella Urru, cooperante del Cisp in Algeria sequestrata a ottobre, insieme ad altri due volontari spagnoli. Oggi è il Blogging Day,una giornata dedicata alla pubblicazione di post per la liberazione di Rossella e dei suoi colleghi spagnoli.
Da tempo avevo notato che il telegiornale nazionale dedicava sempre meno spazio a questa notizia, fino a lasciarla cadere nel silenzio. Una volta mi son presa la briga di contare i servizi sul meteo: sette. Quelli sull'Isola del Giglio: quattro. Quelli su Rossella Urru e i volontari spagnoli: zero. L'ho trovato disgustoso. Perché tanto silenzio?
Su Internet ci si mobilitava ogni giorno. Facebook, Twitter. Ma solo da quando Fiorello ha fatto un appello per Rossella Urru i media si sono di nuovo concentrati sulla notizia. Si doveva arrivare a questo? Se non si mobilita un personaggio di rilievo, il rapimento di volontari in Algeria non ha alcuna risonanza?

lunedì 30 gennaio 2012

Forme narrative: "contenitori" troppo vecchi?

Lo scambio di opinioni è spesso terreno fertile per le novità. Di qualsiasi tipo. E, anche quando non produce alcuna novità significativa o tangibile, è sempre positivo.
In un modo o nell'altro, ci porta a riflettere, il che non può essere considerato un male.
Qualche giorno fa un mio amico mi ha confessato di avere ultimamente un problema con la scrittura. Mi ha detto che, secondo lui, da troppo tempo ci siamo adagiati su forme narrative troppo definite, "vecchie" (poesia, racconto, saggio e così via).
Ho seguito il suo discorso con interesse.
Mi ha spiegato che queste forme, per come la vede lui, sono come dei contenitori rimasti tutti uguali a se stessi nel tempo, e dentro ai quali da secoli inseriamo contenuti diversi. Ma questi contenitori, ormai, non ci rappresentano più. O, almeno, non del tutto.
E se fosse così? È tempo di una nuova "avanguardia letteraria"?
Non so proprio rispondere ai dubbi sollevati da questa discussione.
Forse, qualsiasi forma narrativa rimane valida fino a quando è capace di comunicare ancora qualcosa ai lettori. E fino a quando lo scrittore riesce a servirsene come canale per raggiungere ciò che vuole esprimere. Forse.
Ringrazio Stefano, che mi ha dato importanti spunti su cui riflettere.

lunedì 2 gennaio 2012

Manca poco alla presentazione!

Ormai manca poco alla presentazione di "Sotto Scacco". Che emozione insolita...
Ecco alcune cose che spero vi farà piacere leggere.
Quello che penso io di questo racconto, insomma.
"Sotto Scacco" è fondamentalmente una storia d'amore. La vicenda di un sentimento che non ha paura di esporsi, nonostante i rischi e le limitazioni che la situazione impone. Un sentimento che tutti conosciamo, che tutti, prima o poi, sperimentiamo. A viverlo stavolta sono due ragazzi, Aziz e Federica. Due ragazzi che non sarebbero destinati a stare insieme. Storia già sentita, ovvio.  Non potrebbe essere diversamente. Una volta, alla presentazione di un libro, l'autore ci fece riflettere su come sia praticamente impossibile creare qualcosa di totalmente inedito, di originale al cento per cento insomma. E infatti, la forza di "Sotto Scacco" non sta nella trama. Ho puntato molto sui personaggi, su Aziz in particolare. Volevo dar vita ad un protagonista che entrasse subito nel cuore dei lettori, un personaggio capace di conquistare presto e con facilità la simpatia del pubblico. Per questo ho scelto la narrazione in prima persona. Che altro dire di questo manoscritto? Che è nato prevalentemente per una fascia di lettori adolescenti, pronti a cogliere l'immediatezza della vicenda, ad immedesimarsi con i protagonisti. Per questo motivo l'uso del presente e l'impostazione veloce, con descrizioni scarne, per permettere al lettore di immergersi maggiormente alla vicenda, per coinvolgerlo, come se guardasse un film in cui scene e dialoghi si susseguono veloci. 
La trama si snoda tra due Stati molto diversi, l'Egitto e l'Inghilterra, entrambi ricchi di fascino.
Ripeto che ho volutamente dedicare poco spazio alla descrizione meticolosa dei luoghi, caratteristica narrativa che conferisce certo notevole realismo, ma che spesso -a mio avviso- rallenta eccessivamente lo svolgersi della trama, rischiando di annoiare il lettore (specialmente se giovane), imbrigliandone la fantasia, impedendogli di creare da sé lo scenario delle vicende nelle quali si immerge durante la lettura.
Un'opera semplice e diretta, che spero riesca in qualche modo ad entusiasmare.